giovedì 31 marzo 2011

Cajeta tarte ( torta di sfoglia e dulce de leche con mandorle)



Parlando di cibo, non tutti gli americani vengono per nuocere.
Qualcuno c'e' che non metta il ketchup nelle lasagne, che non pensi che la pizza si compri solo surgelata, e che non immagini  il tonno come un pesce a forma di tozzo cilindretto.
Magari poi la stessa persona fa la vegetariana a tratti, non mangiando le bistecche al barbecue perche' la vista del sangue mi fa pensare a quella povera bestia e sto male, per poi entrare allegramente da McDonald's e addentare un hamburger con estrema tranquillita'.
E allora, qui la bestia non ti fa pena? Si, ma non si vede il sangue, non sembra un pezzo di animale.
Ok, perfetto, mi tappo la bocca o non la finiamo piu'.
Pero' lo ammetto, cucina piuttosto bene, ed e' l'unica nella cerchia di amici e conoscenti da cui persino quel talebano del cibo di mio marito vada volentieri.
Amore, B. ci ha invitato a cena, cucina sudamericana stavolta.
Mi guarda un po' dubbioso.
Oddio, sara' tutto piccantissimo!
Un po' ammetto di averlo pensato anche io, per poi scoprire che ci sbagliavamo di grosso.
Una cena deliziosa, ben presentata, curata in ogni minimo particolare.
Compagnia divertente, ed anche il talebano scrutato di nascosto mostra una certa soddisfazione.
Cibo buonissimo, e gia' ho adocchiato in cucina il dolce splendido con cui finiremo la serata.
Quindi tutto perfetto.
Fino a quel momento.
La padrona di casa si alza in fretta, come se avesse dimenticato qualcosa, e torna sorridendo con una pila di fogli di carta tra le mani.
Mi chiedo se abbia intenzione di farci scrivere un review su cio' che abbiamo mangiato, ma la realta' anche in questo caso supera, e di gran lunga, la fantasia.
Let's sing!
Spero di aver capito male, mentre mio marito sono certa speri di diventare di colpo muto: per quale diavolo di motivo dovremmo cantare???
Ah si, per fare atmosfera. La serata e' sudamericana, quindi dalle casse del suo Ipod cominciano ad arrivare le note di una serie di canzoni tipiche. Riconosco solo Cielito Lindo, ma per le altre non ci sono problemi: i fogli di carta vengono diligentemente distribuiti a tutti, con il testo di ciascuna canzone.
Non abbiamo scampo.
Mi sento francamente una deficiente, e medito che il fatto di essere astemia in queste condizioni sia proprio un imperdonabile difetto.
Noto che con il piglio dell'insegnante non ha omesso di allegare anche la traduzione in inglese, e mi chiedo se alla fine verremo interrogati.
No, non siamo stati interrogati, e mio marito ha fatto pure tanto di controcoro.
Certo che fatica, arrivare finalmente al dolce.
E devo anche aver cantato male, vista la misera fetta che mi e' toccata :-)

Dunque, non vi chiedo di fare questo dolce. Vi imploro.
Fosse solo che per avere la ricetta ho dovuto pure cantare!
Sorprendentemente, le mandorle tostate tagliano la dolcezza del dulce de leche in maniera inaspettata, ed il tutto racchiuso nella crosta di sfoglia si trasforma in uno dei dolci piu' buoni che abbia mai assaggiato.
 Di una semplicita' disarmante,  lo consiglio anche a chi abbia poca dimestichezza in cucina ma voglia comunque fare un figurone: risultato assicurato.
E siate generosi, con le fette ;-)



CAJETA TARTE ( per un dolce di circa 30 cm di lunghezza e 14 cm di larghezza)

250 g di pasta sfoglia (circa) o finta sfoglia
un barattolino di latte condensato da 397g da cuocere e trasformare in dulce de leche, oppure del dulce de leche acquistato
100 g di mandorle
un albume, solo per spennellare
salsa al cioccolato per servirla, addizionata di un pizzico di peperoncino, se piace


Per prima cosa, a meno che non lo si sia acquistato, preparare il dulce de leche: prendere una lattina di latte condensato, e rimuovere la carta che la ricopre.
Se avete la pentola a pressione, come me che ho utilizzato la mia favolosa Acticook della Lagostina, mettete il barattolo in pentola senza aprirlo, copritelo completamente di acqua in modo che sia sommerso, chiudete e fate cuocere 30 minuti dal sibilo.
A cottura ultimata toglierlo dalla pentola e farlo raffreddare prima di aprirlo.
Se non avete la pentola a pressione, mettete il barattolo in una pentola senza aprirlo, copritelo con acqua in modo che sia del tutto sommerso e fate cuocere circa 3 ore e mezzo dalla bollitura.
Scolarlo subito dalla pentola ( o continuera' a cuocere) e farlo raffreddare prima di aprirlo.




Tostare le mandorle a 170 gradi per circa 13 minuti e tagliarle in pezzi grossolani nel mixer con funzione pulse o con la mezzaluna.
Mescolare le mandorle al dulce de leche e lasciare da parte.
Non assaggiate, fidatevi. Non volete che poi vi manchi per il dolce, vero? ;-)
Stendere la pasta sfoglia in un rettangolo circa 30 x 28 cm, ad uno spessore di 4 mm.
Dividere il rettangolo in due in modo da avere due strisce, su una versare il ripieno a cucchiaiate, lasciando alcuni cm liberi ai bordi. Sull'altra praticare dei tagli orizzontali.


Ora spennellare i bordi di albume e sovrapporre la parte con i tagli a quella con il ripieno, premendo moooolto bene per farle aderire. Rifilare i bordi. Premere nuovamente i bordi per assicurarsi una chiusura perfetta.



Spennellare tutto il dolce con l'albume rimasto, e cuocerlo in forno preriscaldato a 200 gradi per circa 25 minuti, o comunque finche' la sfoglia sara' gonfia e dorata.
Servire tiepido o a temperatura ambiente, con della salsa al cioccolato.


Ed a proposito di pentole a pressione, ve lo ricordate si il contest di Genny, con in palio un premio bellissimo? Su, che siamo vicini alla scadenza!!! :-)

NOTE:

- il dulce de leche puo' essere preparato anche con due settimane di anticipo e tenuto in frigo.

lunedì 28 marzo 2011

Salatini di Philadelphia


Non so da cosa dipenda.
Forse e' un'attitudine con cui si nasce, oppure si impara in tenera eta'.
O magari e' solo uno sport come un altro, solo che invece di muovere braccia o gambe si muove solo la lingua, e a sproposito.
Proprio non so, ma il sentire lamentele per sciocchezze inesistenti mi irrita, e parecchio.
E non sto parlando delle piccole rogne che ci accompagnano giorno per giorno, d'altronde se esco di casa e ci sono 50 gradi come capita qui probabilmente esclamero' pure io un che caldo! ben sapendo che non sara' la mia frase a farmene sentire meno.
No, intendo qualcosa di diverso.
Quelle persone fortunate abbastanza da non aver nulla di che lagnarsi, e che evidentemente non contente del loro stato di grazia ricercano ossessivamente qualcosa per cui fare delle scene madri degne di un palcoscenico pensando, chissa', di catturare la benevolenza altrui.
Con quale ricchezza di particolari, poi.
Niente di piu' sbagliato, saro' certamente io a non possedere l'animo della crocerossina ma l'unico istinto che mi provocano simili sceneggiate e' quello omicida, che magari nella scena madre ci sta pure bene...
Parlo di nuovo di lei, la signora della carta igienica.
I problemi avuti in passato nel reperire il suddetto articolo sono stati brillantemente superati, ed a conferma di cio' sbandiera orgogliosa la confezione di fazzolettini di carta che ha miracolosamente trovato, senza l'aiuto di nessuno, nello stesso reparto del super.
La confezione in una mano, un fazzolettino aperto nell'altra, e sono indecisa se mi ricordi di piu' una tragedia greca o un languido romanzo dell'800 inglese.
Lo vedi come mi cola il naso?
Veramente no, non mi pare, ma non mi ci sono molto applicata. Sorrido accondiscendente.
Ah, ma lo so io perche' succede. Ah si!
Io non solo non lo so, ma nemmeno vorrei saperlo. Sento che il mio desiderio rimarra' inascoltato.
E' quella cosa...la nube...si, le radiazioni.
Certo. La nube radioattiva dal Giappone si e' materializzata in Arabia Saudita causando alla signora un raffreddore???
Rispondo che non credo, e che e' piu' probabile sia l'aria condizionata. Mi mordo la lingua e mi fermo prima di instillarle il dubbio che chissa' cosa ci mandino tramite i bocchettoni, insieme all'aria fresca; potrebbe credermi ed accusare nuovi, preoccupanti sintomi dei quali non voglio essere messa a parte.
Si soffia il naso con tale foga che si gira meta' delle persone che abbiano intorno.
Senti com'e' bello pieno?
Aiutatemi. Non voglio sentire, e soprattutto non voglio vedere.
Ma se invece guardo e le dico che il fazzoletto e' pieno di una roba verde fluorescente, secondo voi me ne libero per sempre? :-)


Questi salatini sono uno degli sfizi che faccio piu' spesso, un cavallo di battaglia da anni, l'ultima volta per una cena in giardino. Non sono mai abbastanza, per quanto ne possa cuocere teglie su teglie.
Ah, per quel che vale sono piaciuti anche alla signora. Il pensiero che mangiassimo all'aperto, sotto la nube tossica, non l'ha minimamente dissuasa dal presentarsi.
La ricetta e' stata trovata su un vecchissimo numero della rivista americana Taste of Home, ed e' veramente l'espressione del massimo risultato con il minimo sforzo. Provate!


SALATINI DI PHILADELPHIA ( per una trentina di pezzi, circa )

200g di farina
170 g di Philadelphia
40 g di burro leggermente ammorbidito
40g di parmigiano grattugiato
sale
paprika, pepe nero, sumak, sesamo, cumino,semi di finocchio e tutto quello che volete per guarnirli

un albume, per spennellare


Mettere in un mixer il burro, la farina, il philadelphia, il parmigiano e mezzo cucchiaino di sale. Fare andare le lame a forte velocita' finche' l'impasto non si raccoglie a palla ( circa 3 minuti di lavoro, nel mio mixer ;-)
Assolutamente non aggiungere acqua o altri liquidi, l'impasto sembra non stare insieme all'inizio ma poi lo fara' ;-)
Toglierlo dal mixer, lavorarlo brevemente e assaggiarne un pezzetto per valutare se il sale e' sufficiente.
Avvolgere in pellicola trasparente e mettere mezz'ora in frigo.
Stendere quindi l'impasto ad uno spessore non inferiore a mezzo cm circa (sottili non vengono bene) e tagliateli nelle forme desiderate.



Adagiare i salatini su carta forno e spennellarli con poco albume, quindi procedere a decorarli come si preferisce. Metterli altri 10 minuti in frigo con tutta la teglia.



Cuocerli in forno preriscaldato a 190 gradi per non piu' di 13-15 minuti, quando i bordi sono coloriti e la superficie appena dorata sono pronti. Appena fuori dal forno sono morbidi, poi raffreddandosi prendono la giusta consistenza.
Come per ogni preparazione potrebbe essere necessario adeguare la cottura al vostro forno.
Servire a temperatura ambiente.

NOTE:
- fate attenzione a non cuocerli troppo o prenderanno un gusto amarognolo dovuto al parmigiano che comincia a bruciacchiare.

- l'impasto crudo puo' essere conservato in frigo diversi giorni.

- sono piu' buoni se cotti e mangiati nella stessa giornata, cosi' avranno l'esterno croccantino e l'interno piu' morbidoso. Il giorno dopo perdono un po' di croccantezza.

giovedì 24 marzo 2011

Macarons al lemon curd


Ci si può innamorare di un dolce?
Si può, si può.
Nemmeno la ricordo la prima volta che li ho visti, ma dev'essere stato durante quel viaggio a Parigi con mamma, papà e mia sorella. Allora non solo non avevo idea di cosa fossero, ma mai e poi mai avrei pensato che quelle torri di dolcini dai colori delicati potessero essere replicate in casa, sembravano opera di una fata.
Erano solo bellissimi, e per certe cose è, indubbiamente, più che sufficiente :-)
Solo da poco, dopo averli ormai mangiati innumerevoli volte ed ammirati su tanti blog, mi sono decisa a cimentarmi. 
E credetemi, mai mi sono sentita tanto stupida.
Lo stesso dolcino che mi ha fatto innamorare può farmi anche tanta paura? Da non resistere alla pena di non vederli riuscire? Ma no! E invece si.
E non chiedetemi il perchè, che le paure sono tutte irrazionali, altrimenti non si spiega come l'altro giorno non abbia aperto la finestra di camera mia per ore data l'inquietante presenza di una cavalletta all'esterno della zanzariera.
A nulla ha potuto mio marito, che mi ricordava la maggiore nonchalanche dimostrata durante un attacco terroristico che abbiamo subito qui anni fa, non se ne è venuti fuori. E finchè la bestia non ha deciso spontaneamente di sparire, dalla finestra mi sono tenuta ben lontana.
Per la tanta paura, ho studiato. Si, ho letto tutto il leggibile, tutti i blog di superesperte, in primis quello di Pinella, poi quello di Mercotte.
Ho comprato libri sull'argomento, ed altri me ne sono stati regalati, dato che quando le fissazioni vengono non c'è divertimento se non si tortura con le suddette chiunque sia a portata di mano, o di Skype.
Credo che solo la disperazione infatti abbia potuto spingere mia sorella a spedirmi dall'Italia il favoloso Macaron, d Pierre Hermè, che sto studiando manco dovessi farci su la tesi di laurea.
E come ciliegina sulla torta, ho pure scaricato un'applicazione a tema sull'Iphone. Si, non ridete.
Ma c'era un video tanto carino che mi faceva credere che i macarons avrei potuto farli anche io...
E quando finalmente ho tirato il sospirone ed ho detto mi butto, l'amara realtà: non ho la bocchetta adatta per la sac a poche! O più grande o troppo più piccola, niente da fare.
Ma come in ogni favola che si rispetti qui arriva lui, il solito supereroe.
Con una bocchetta fatta fare in cantiere apposta per me.
Per farmi contenta.
I macarons sono usciti, al primo colpo, lasciandomi a bocca aperta: non erano poi così complicati...
Accantonato questo, il problema ora è un altro: dove accidenti sarà finita la cavalletta? :-)

I macarons sono belli, si, ma sono anche buonissimi. 
Quelli della foto sono i pochi superstiti di un dopocena in cui ce n'erano almeno 150, di gusti diversi. Ho visto scene alle quali non avrei ma creduto se mi fossero state raccontate, come il mio collega serissimo ed anziano professore canadese, sempre un po' cinico e distaccato, che ne ha messi in bocca tre, uno lo ha annegato nel caffè, per provare, e cinque, giuro, in tasca prima di andarsene. Vabbè che era alticcio, ma gli devono essere piaciuti sul serio...specie questi dal gusto limonosissimo.
E non dimenticate che dovendo riposare 24 ore prima di essere gustati vanno preparati in anticipo, per farvi fare bella figura con poco sforzo ;-)
Questa ricetta va ad Ornella, per il consueto appuntamento con il calendario di Ammodomio.






MACARONS AL LEMON CURD 
( per circa 15-20 pezzi) 
di Stephane Glacier

50 g di albumi vecchi di qualche giorno
13 g di zucchero semolato
2 gocce di succo di limone
112 g di zucchero a velo
62 g di farina di mandorle
poco colorante in polvere o pasta, facoltativo

per il lemon curd di Martha Stewart

un uovo intero e 4 tuorli
100 g di zucchero
40 ml di succo di limone
15 g di burro

La prima operazione da fare e' separare gli albumi necessari dai tuorli. L'operazione andrebbe fatta 5 o 7 giorni prima di quando si vogliono usare, tenendoli in frigo in un recipiente di vetro coperto con pellicola.
Quando si decide di utilizzarli, tirarli fuori dal frigo un'ora prima.
La seconda, e' mettere nel mixer lo zucchero a velo e la farina di mandorle, farle girare per pochi secondi (meglio usando la funzione pulse, per non farlo scaldare ) e versare poi il composto ben omogeneo in una ciotola.
Cominciare quindi unendo le gocce di succo di limone agli albumi e montarli con le fruste a forte velocita'. Pian piano, man mano che montano, aggiungere lo zucchero semolato in tre volte.



Appena il tutto risulta una meringa ben ferma, unire in una volta la farina di mandorle miscelata precedentemente nel mixer con lo zucchero a velo, e l'eventuale colorante, e girare energicamente dal basso verso l'alto per amalgamare. Ecco la foto del composto dopo un paio di colpi di spatola:


Fermarsi non appena il composto ricadra' "a nastro" dalla spatola. Se a questo punto andrete troppo avanti a girare il composto diventera' piuttosto liquido e totalmente ingestibile.


Montare alla sac a poche una bocchetta liscia da circa un cm, versarvi dentro il composto e procedere a formare i macarons su una teglia coperta con carta forno.
Attenzione che la carta forno stia completamente piatta, o avrete macarons dalle forme picassiane...
Non fateli troppo grandi, diciamo 3 cm al massimo, perche' poi si allargano un po'.
Sbattere quindi con molta delicatezza la teglia sul piano di lavoro, coperto con un panno da cucina, come ordina Pierre Hermè :-) Questa operazione serve a farli diventare lisci, senza l'antipatico ciuffo sulla sommita'.
Ora fate riposare le teglie all'aria per un'oretta.


Preriscaldare il forno ( io sempre statico) a 150 gradi. Passato il tempo del riposo, infornare una teglia alla volta. Dopo 5 minuti, aprire un po' il forno per far uscire il vapore che si sara' formato. Richiudere e continuare la cottura altri 7-8 minuti circa.
Ovviamente con la cottura bisogna provare con il proprio forno, potrebbe volerci qualche minuto in meno nel vostro, o in piu', nel mio in meno di quindici minuti sono sempre pronti.
Eccoli pronti con il tipico collarino bene in vista


Far scivolare subito via la carta forno dalla teglia, per evitare che i macarons continuino a cuocere, ed aspettare che siano perfettamente freddi per staccarli.
Da freddi potete procedere alla farcitura.
Dopo averli farciti e' essenziale che i macarons riposino 24 ore in frigo, dove i sapori si fonderanno e loro prenderanno la consistenza per cui sono famosi.
Tirarli fuori pero' almeno mezz'ora prima di servirli.
Per il lemon curd, da preparare con almeno un giorno di anticipo: mischiare in uan casseruola l'uovo intero, i tuorli, lo zucchero ed il succo di limone.
Girare con una frusta a mano e mettere sul fornello, a bagnomaria (confesso che disobbedisco e cuocio direttamente su fuoco bassissimissimo) girando continuamente. Fermarsi quando il composto prende consistenza e vela un mestolo o un cucchiaio.
A questo punto aggiungere il burro, un pezzetto alla volta, girando energicamente per farlo sciogliere.
Togliere dal fuoco, passarlo ad un colino e metterlo in un barattolo. Farlo raffreddare a temperatura ambiente e poi in frigo.

NOTE:

- non fate come me e buttatevi a pesce, sono molto piu' semplici di quel che sembrino.

- i macarons sono molto, molto piu' buoni dopo il riposo in frigo, quindi non fatevi fuorviare da un assaggio troppo presto.

- se la povera Martha Stewart non gode della vostra simpatia, c'è sempre il lemon curd di Jamie Oliver, altrettanto buono.

- se i macarons si crepano, puo' essere un problema di temperatura di cottura troppo alta. Abbassate e riprovate ;-)

- i gusci di macaron non farciti possono essere congelati. Scongelateli in frigo e procedete alla farcitura.

lunedì 21 marzo 2011

Lilliput-Danubio alle arachidi salate e miele



E vai a vedere che il miracolo si e' ripetuto.
Non ho chiesto sconti, scuse, cambi di ingrediente.
Non mi sono appellata alla pietà dei giudici, alla loro magnanimità. O al loro buon cuore.
Non ne ho avuto bisogno: per il Danubio che Tery ha scelto per l'MT Challenge di Marzo avevo proprio tutto, compreso un inaspettato giorno di ferie proclamato per festeggiare il rientro in patria del re dell'Arabia Saudita, dopo una lunga convalescenza all'estero.
E quando dico tutto, intendo tutto.
Compresi gli 80 grammi di strutto in quel grazioso vasetto bianco e nero in freezer.
Qui non si trova, sia chiaro, ma fa parte di quella dotazione di ingredienti che, ehm, importo ad ogni viaggio sfidando la dogana.
Non che sia facile far derivare a colpo d'occhio quella soffice cremina bianca da un maiale, ma a scanso di problemi mi premunisco: primo, eliminazione della confezione originale, mica vorrete che debba inventarmi li' per li' che quel faccino rosa con grosse narici disegnato sopra con tanto di accattivante sorriso sia una italica  versione di Hello Kitty, col rischio che mi credano pure.
Secondo, urge in genere a poche ore dalla partenza il reperimento di nuovo contenitore, il piu' innocente possibile, il piu' anonimo possibile.
Semplice vasetto di vetro? No, troppo facile.
La prima volta che mi e' venuto in mente mi sono sentita un incrocio tra James Bond e Diabolik, con un pizzico di Wonder Woman non fosse altro perche' mi piace il costume che indossa :-)
E l'ho preso, l'ho lavato accuratissimente, fino a consumarlo. L'ho fatto asciugare in forno, e l'ho pure sterilizzato. E ho ripetuto il processo un'altra volta.
Di cosa parlo?
Un vasetto di crema per il viso, bellissimo, bianco e nero. Riempito fino all'orlo di strutto, ed infilato nel beauty case e poi in valigia come se nulla fosse.
E di tutte le volte che mi hanno controllato i bagagli, non ce n'e' stata una in cui il vasetto abbia suscitato il benche' minimo sospetto. D'altronde, per essere crema e' crema, e se mai a qualcuno venisse il dubbio non esiterei un solo istante ad applicarmi seduta stante una ricca maschera idratante...
E qualunque scontata battuta che leghi in qualche modo la mia faccia alle due grosse "C" incrociate del logo sul vasetto e' proprio solo un mal pensare.
E mal pensare e' peccato.
Anche se ci si azzecca sempre ;-)

Non sono impazzita, ma volevo ricreare il Danubio di Tery in versione finger food, e farlo piccino piccino piccio'. Pensa che ti ripensa, abbinarlo alla frutta secca tostata e salata che tanto sta bene con gli aperitivi mi e' sembrata una buona idea. Ma e' intingere le arachidi nel miele che fa la differenza, dando un tocco di dolce e salato che i miei ospiti hanno molto, molto gradito.
Le palline si staccano benissimo, ma a cena avevo degli squali, che se li sono mangiati in un sol boccone...
E credetemi, e' l'impasto per Danubio piu' buono che abbia mai sperimentato!


LILLIPUT-DANUBIO ALLE ARACHIDI SALATE E MIELE 

500 g di farina
150 ml di latte (io 170)
3 tuorli e un uovo intero
un cucchiaino di sale
10 g di lievito di birra fresco ( o 4 grammi di quello disidratato)
40 g di zucchero
80 g di strutto
un cucchiaino di miele
20 g di burro

per la farcitura

arachidi tostate e salate
miele

fior di sale, per la copertura

Sciogliere il lievito nel latte tiepido insieme al miele, aggiungere quindi la farina e cominciare ad impastare. Ho fatto tutto con l'impastatrice, ma da Tery troverete anche le indicazioni per lavorare a mano.
Unire quindi l'uovo intero e 2 tuorli, lo zucchero e continuare ad impastare finchè il tutto risulterà ben assorbito. A questo punto unire l'altro tuorlo, il sale e solo quando saranno completamente assorbiti unire lo strutto ed il burro a pezzetti. Far lavorare l'impasto finchè non sarà ben incordato, io una ventina di minuti abbondanti.
Quando l'impasto si staccherà per bene dalla ciotola, che risulterà ben pulita, fare la prova del velo: staccare un pezzetto di impasto, stenderlo al massimo cercando di vederne la trasparenza.
Se si rompe prima, vuol dire che l'impasto va lavorato ancora.
Mettere quindi a lievitare in una ciotola coperta fino al raddoppio.
Trascorso questo tempo, procedere a formare le palline dopo aver sgonfiato l'impasto con le mani.
Nel mio caso, ho preso delle arachidi salate e tostate, le ho intinte nel miele usando una pinza da cucina e le ho usate come ripieno di palline veramente minuscole.




Ho poi formato delle torrette in stampini da mini-muffins ( 4 cm di diametro), mettendo 5 palline alla base, 3 al piano centrale ed una in cima.




Far lievitare in luogo tiepido, quindi spennellare con tuorlo battuto, spolverizzare con due pizzichi di fior di sale e cuocere a 220 gradi in forno preriscaldato per circa 7-10 minuti.
Servire a temperatura ambiente, con l'aperitivo.

NOTE:


- con queste dosi vengono torrette per sfamare tutta l'Arabia Saudita, quindi regolatevi in caso voleste prendere spunto...

giovedì 17 marzo 2011

Pizzette tricolore


Lo ricordo come se fosse ieri.
Quel colloquio di lavoro in un'altra lingua, per un lavoro in un'altra lingua, in un'altra nazione.
Suona come una barzelletta, "c'era un'italiana che cercava lavoro in una scuola americana in Arabia", vero?
Ed anche se l'inglese lo parlo bene, un po' d'ansia va ammesso che ci fosse. Eccome, se c'era.
Non si sa mai che brutti scherzi possa causare l'agitazione del momento, e tutto volevo tranne che incappare in qualche strafalcione. Ancora peggio se il preside che mi avrebbe da li' a poco riempita di domande avesse avuto l'accento di chissa' dove, ed io magari trovarmi a balbettare risposte vaghe per non far vedere che no, non avevo capito.
Ed invece no.
Il preside parlava si con accento, ma diciamo che ormai ho l'orecchio allenato. Ed il mio inglese non fece scherzi dell'ultima ora, rimanendo fluente come al solito. E nessuno strafalcione, verbi al loro posto, aggettivi pure, soggetti nella giusta forma, e via, facciamoglielo vedere che conosco un certo numero di vocaboli complicati.
A meta' colloquio nella meta' del mio cervello che non parlava con il preside ha cominciato a farsi strada prepotente l'idea che ad occhio e croce il lavoro sarebbe stato mio.
A tre quarti si era pressocche' convinta anche l'altra meta', quella impegnata ormai nella rilassante parte delle chiacchiere  futili e un po' meno impostate.
Lo dice anche lui, finalmente: posso ritenermi assunta.
Ma quando tutto sembra fatto, tutto cambia.
Ed e' il nanosecondo di quando sto per alzarmi dalla poltrona, quello della svolta.
Il tuo inglese e' ottimo. Dove l'hai studiato, a proposito? Peccato solo per quel vago accento italiano.
Non ce la posso fare a stare zitta, fare un sorrisino accondiscendente ed andarmene a casa.
Non e' colpa mia, ma tutto il mio DNA si ribella, e improvvisamente li sento gridare tutti insieme nel cervello, da Giulio Cesare a Leonardo da Vinci, da Michelangelo a Ugo Foscolo, da Meucci a Marconi.
Ad occhio nella mischia c'e' pure Cristoforo Colombo, che si sta dando una manata sulla testa...;-)
E' che quando sono davvero arrabbiata sembro perfettamente calma.
Ed e' con gelida e soppesata calma che mi sono girata e con una certa supponenza ho ricominciato a parlare, eliminando questa volta del tutto il mio accento.
Posso farlo, se voglio. Solo, gli ho spiegato, semplicemente non voglio.
Non si sopravvive ad un verbo sbagliato, ad un plurale scorretto: ma ad un po' d'accento si, che ci stimoli la curiosita' e magari ci faccia chiedere da dove venga e cosa ci sia dietro la persona che abbiamo davanti.
E dato che non ho alcun motivo di nascondere che sono italiana, ma anzi ne sono piuttosto orgogliosa,un pochino d'accento lo esibisco con strafottenza.
Nonostante la sorpresa, il preside non mi butto' fuori a calci dall'ufficio, ed il lavoro e' ancora mio.
Ed e' lui ogni tanto a farmi notare quando parlo con accento troppo americano, cosi' da potermi correggere ;-)

Oggi e' il compleanno dell'Italia, e qual e' il cibo per cui siamo famosi in tutto il mondo? Ma la pizza, of course. Che si chiama pizza in tutte le lingue del mondo, e non c'e' posto sulla Terra dove non dico non sia possibile trovarne, ma almeno gli ingredienti per farsene una, quelli si.
E con questa ricetta partecipo alla bella iniziativa di FrancescaV, FrancescaV chiama Italia

PIZZA (ricetta di Gabriele Bonci)

500 g di farina 0 ( non la trovo ed ho usato 00, viene benissimo)
400 di acqua
un cucchiao di olio extravergine
2 cucchiaini e mezzo di sale fino
4 grammi di lievito di birra disidratato, oppure mezzo cubetto di quello fresco

semola rimacinata, per il piano di lavoro

pomodoro, mozzarella e quello che volete, per condirla

Versare in una ciotola la farina con il lievito e tutta l'acqua. Mescolare un po' con una forchetta, ed aggiungere l'olio ed il sale. Continuare a lavorare usando la forchetta, l'impasto e' ovviamente morbidissimo, dovra' risultare piu' o meno cosi':


Ora coprire la ciotola con una panno e far riposare per 10 minuti. Trascorsi i 10 minuti, spolverizzare il piano di lavoro con abbondante semola e versarci sopra l'impasto.
Cominciare a formare delle pieghe portando i lembi verso il centro, in modo da raccogliere un po' di semola ed al contempo asciugare un po' l'impasto:


Continuare finche' l'impasto sara' un po' piu' asciutto, ma sempre morbidissimo. Raccoglierlo a palla, metterlo una ciotola, coprirla con pellicola e metterla nella parte bassa del frigo per 24 ore.



Il giorno dopo riprendere l'impasto e dividerlo in teglia ( che io ungo leggermente e cospargo con semola) allo spessore preferito, lavorando ed appiattendolo preferibilmente con le mani.
Per le pizzette, le ho formate in piccoli stampi da crostatina, e condite le verdi con pesto mischiato a formaggio fresco, le bianche solo con mozzarella e le rosse classiche pomodoro ed origano.
Condire la pizza come si preferisce, e cuocerla in forno preriscaldato alla massima temperatura per i primi 10 minuti nella parte bassa, poi per il tempo restante nel ripiano intermedio.

NOTE:

- questa ricetta di Gabriele Bonci e' probabilmente la piu' buona che abbia mai provato. Provate per credere, se gia' non la conoscete.

- volendo, il lievito di birra si puo' sostituire con 150 g di lievito madre. Procedimento e riposo non cambiano.



lunedì 14 marzo 2011

The (perfect) Apple Pie


Oggi e' il quattordici di Marzo. O, se lavorate in una scuola americana, March, 14th.
O ancora piu' breve, dato che gli americani hanno il vizio di abbreviare ed accorciare tutto quello che trovano: 3,14
Non vi dice nulla? Nessuna reminiscenza scolastica di quel numero che grazie al cielo qualcuno ha gia' calcolato per noi e serve a trovare la circonferenza o il volume del cerchio?
Ma si, lui, il povero pi greco, o π.
Bistrattato e maltrattato tanto che gli hanno pure storpiato il  nome.
Non ci credete? Allora dovreste fare un salto qui, e rimarreste orripilate come lo sono rimasta io.
Gia' orripilata lo ero per aver  accettato di insegnare per tre mesi anche matematica, io che di solito mi occupo di tutt'altri campi.
E' che il vicepreside quasi in ginocchio si vede una sola volta nella vita, e l'idea di essere praticamente la sua ultima pedina per salvarci dalla situazione incresciosa dell'insegnante di ruolo scappata a gambe levate da queste lande desolate, diciamolo, solleticava non poco il mio ego.
Certo, poveretto, non aveva idea del pasticcio immane in cui stava per andarsi a cacciare.
Eh si perche' conoscendomi, potreste mai minimamente essere sfiorati dall'idea che possa essere rimasta insensibile sentendo pronunciare dai miei alunni il pi greco..."pai", esattamente come "pie", ovvero "torta ripiena" in inglese????
Miss, si dice cosi'.
Per carita', lavorando in una scuola americana devo seguirne i dettami. Poi c'e' un limite a tutto, c'e' la disubbidiente nascosta in me che non vede l'ora di fare capolino, e ci sono anni di greco e latino studiati con furore e passione che non possono non aver lasciato il segno.
E giu' a spiegare che il pi greco non è un divertente disegnino ma una lettera in un altro alfabeto, scelta tra l'altro non a caso per simboleggiare il 3,14 :  ma niente meno che in onore di Pitagora....e che come tale sarebbe bene conoscerne la pronuncia esatta, assieme a quella che siamo obbligati ad usare.
Alla prima email di un genitore che ha gentilmente osservato che mi perdevo in dettagli inutili, ho ringraziato dell'interessamento e ricordato che l'inutilita' e' un concetto molto, molto soggettivo.
Alla seconda, di una specie di invasato che mi accusava di insegnare nozioni errate e che per la qual cosa Allah mi avrebbe punito, ho preso un bel respiro ed ho risposto inviando un piccolo trattato sul pi greco, la sua origine e sul  fatto che gli americani ne abbiano storpiato la pronuncia perche' non sapevano cosa fosse, che immagino stia ancora leggendo dato che non ha piu' replicato.
Ma il clou e' arrivato dopo.
Quando la voce della mia anarchia e' arrivata fino al vicepreside. Non gli deve essere sembrato vero, di potermi fare irruzione in classe in un modo tanto plateale e con un piglio da fare invidia, sono certa, a Torquemada.
Ma nella vita, lo dico sempre ai miei alunni, sarebbe bene documentarsi, prima di parlare, perche' essere smentiti e corretti e' sempre una gran scocciatura...
E quindi dopo essersi sorbito una mezza conferenza sull'argomento, che partiva dai primi rudimentali tentativi di calcolare il pi greco fino alla scelta del nome da dargli o del simbolo da scegliere per rappresentarlo, Torquemada si era trasformato in una mansuetissima pecorella.
Sorry, I didn't know it.
Non so se sono piu' contenta del fatto che gli dispiaccia, o che davanti a tutti abbia ammesso la sua ignoranza in materia. O forse del fatto che ha chiesto all'altro prof di matematica, quello vero, di dirlo in classe anche lui ;-)

E l'apple pie? Non ci crederete mai, ma ogni quattordici Marzo nelle scuole americane si festeggia il "pai-day", giorno del pi greco!!! E siccome suona esattamente con "pie-day" ognuno deve portare una "pie", una torta ripiena, da dividere con gli altri.
Non insegno piu' matematica, per la gioia mia e del vicepreside. Ma la torta in questione continuano a chiedermela...;-)
E nuovo mese, nuovo contest!!! Date un'occhiata alla bellissima idea avuta da Stefania per farci mangiare piu' frutta e verdura: ne vedremo di tutti i colori, e' il caso di dire. Compresa me nella giuria ;-)

THE (PERFECT) APPLE PIE per una teglia da 22/24 cm)

per il guscio

312 g di farina
200 g di burro
un cucchiaino di sale
un cucchiaino di zucchero semolato
da 4 a 8 cucchiai di acqua ghiacciata, dovrete regolarvi

per il ripieno

un kg di mele, uso le Granny Smith
80 g di zucchero semolato
25 g di amido di mais
il succo di due limoni
scorza grattugiata di un limone
un po' di cannella, a piacere

2 cucchiai di panna fresca e poco zucchero, per la copertura

Preparare il guscio: tagliare il burro ben freddo a cubetti, ed unirlo subito alla farina insieme al sale e lo zucchero. Lavorare il tutto con le dita in modo da intridere il burro con la farina fino ad avere un composto granuloso. Ora aggiungere l'acqua ghiacciata un cucchiaio alla volta, fermandovi appena il composto sta insieme.
Attenzione a non aggiungerne troppa, in media me ne servono 5 cucchiai da tavola, ma dipende dalla farina.
La pasta puo' essere preparara anche nell'impastatrice con il gancio a K.
Non lavoratela troppo, e soprattutto siate veloci. Bruciare il burro ne comprometterebbe la favolosa friabilità.
Avvolgere la pasta nella plastica e mettere in frigo per almeno due ore, meglio ancora una notte.
Preparare il ripieno: sbucciare le mele e tagliarle a cubetti grossolani. Irrorarle subito con il succo di limone, la scorza, poi unire lo zucchero, la cannella a piacere e l'amido di mais. Mescolare bene.
Confezionare quindi il dolce, stendendo meta' pasta nella teglia, ad uno spessore di circa 4mm. Versarvi  le mele con tutto il succo e chiudere con un altro strato di pasta che andra' spennellato con poca panna fresca e spolverizzato con un po' di zucchero semolato, dopo averne ben sigillato i bordi.


Praticare due o tre tagli sulla superficie per far uscire il vapore in cottura ed usare i ritagli per qualche decorazione.


Cuocere in forno preriscaldato a 200 gradi per circa 45 minuti/un'ora, finche' sara' ben dorata.
Far riposare il dolce almeno un'ora a temperatura ambiente prima di servirlo, magari con una pallina di gelato alla vaniglia.

NOTE:

- l'apple pie va servita nella stessa teglia in cui viene cotta. Esistono delle teglie apposite, che ora mio marito sa che deve regalarmi :-) ma se dovete portarla a scuola, come me, va bene anche qualcosa di piu' rustico...

- la pasta utilizzata per la crosta e' friabilissima, un sogno, con un gusto dolce/salato assolutamente unico. Attenzione, rischiate di innamorarvene perdutamente, ed io non ne rispondo.

- lo zucchero e la cannella nel ripieno sono ovviamente personalizzabili nella quantita'. Invece non omettete l'amido, che unendosi al liquido rilasciato dalle mele regala uno sciroppo delizioso impedendo allo stesso tempo che la pasta si inzuppi.

 

giovedì 10 marzo 2011

Torta al limone caramellata


Non fidatevi.
Ve lo chiederà con fare suadente, irresistibile, quasi saltellandovi intorno.
Con gli occhioni spalancati, il sorriso entusiasta ed una incontenibile buona volontà.
Farò come mi dici tu, e dai, cosa ci vorrà mai.
Effettivamente no, non ci vuole la laurea per usare un cannello da pasticceria, ma alla torta appena fatta voglio troppo bene per permettere ad anima viva di avvicinarsi prima che gli ospiti l'abbiano vista integra.
Ognuno ha le sue fissazioni, d'altronde, che spesso trovano fondamento in grandi verità che conosciamo benissimo e facciamo solo finta ci siano oscure.
Ti prego, dai, non ti chiedo mai niente. Fammi divertire!
Mio marito in realtà potrebbe divertirsi in mille altri modi, e sul fatto di non chiedere mai nulla potrei anche eccepire. La mia povera torta no, lei davvero non ha chiesto nulla ma se potesse, sento che vorrebbe essere caramellata solo da me.
Il cannello è già sul piano di lavoro, e se potesse parlare pure io direbbe solo che siamo due imbecilli, e che sarebbe bene ci sbrigassimo, piuttosto.
Passa di mano in mano, e mio marito fa una fiammata che temo prenda in pieno l'anta della credenza.
E meno male si sta solo esercitando.
E' che l'attrezzo è effettivamente più potente di quello che ci saremmo aspettati. Per me non cambia nulla, in realtà, ma credo che il consorte stia già rimuginando chissà quali usi alternativi dei quali non osa mettermi a parte.
Poi succede: cedo.
D'altronde che mai accadrà, e per una volta posso pure non essere l'arpia gelosa delle sue cose che sono sempre. Sempre no, via. Ma spesso in cucina si ;-)
Ed appena glielo dico, ok caramellala tu, il consorte si trasforma.
Il sorriso di prima diventa un ghigno, e giurerei che ha pure gli occhi iniettati di sangue.
In realtà non lo so, dato che i miei occhi sbarrati sono fissi sul dolce.
Con la grazia di un saldatore di professione si avventa sulla delicata copertura di zucchero a velo, e con soddisfazione comincia a roteare l'arma che manco un samurai.
Non va poi tanto male, ma trattengo il respiro.
Ogni tanto gli do una dritta, vai un po' più il là che c'è ancora zucchero non caramellato, ma non è che ne abbia proprio bisogno.
Ah, però. Niente male. Potrebbe quasi quasi diventare il caramellatore ufficiale di casa arabafelice.
Quasi.
Ed infatti appena oso pensarlo, ecco che mi vuole, secondo lui, rifinire i bordi.
Peccato che rifinire i bordi voglia dire che un pezzo di delicata pasta sucrèe prende letteralmente fuoco!
Altro che samurai, mi trasformo in Bruce Lee e sottraggo l'arma impropria dalle mani in cui mai avrei dovuto metterla.
Il bordo è carbonizzato, nonostante il colpevole dica che non si veda nemmeno...e cosa sarebbe allora quella cosa nera???
Niente, il pezzetto carbonizzato di sucrèe lo stacco piano piano, e in foto vedete pure voi da dove...
Il cannello, d'ora in poi, lo tengo scarico, che non si sa mai.
E voi siate più inflessibili di me ;-)

Questa è la torta che volevo fare quando ho scoperto che non avevo nemmeno un grammo di farina utilizzabile, ed ora che ne ho in quantità non me la sono fatta sfuggire.
E' una delizia se come me amate i dolci con l'agrume in questione, che mi fanno sempre pensare all'estate. 
Una crema vellutata, setosa ed una base croccantina. E con il pregio impagabile di doversi fare obbligatoriamente in anticipo per dare il meglio di sè.

TORTA AL LIMONE di Michel Roux ( per una teglia da 20 cm)

per la pasta sucrèe, circa 520 g

250 g di farina
100 g di burro freddo 
100g di zucchero a velo
un pizzico di sale
2 uova intere

poco albume per spennellare

per il ripieno

3 bei limoni bio
4 uova intere ed un tuorlo
150 ml di panna liquida fresca
180 g di zucchero semolato

zucchero a velo, per la copertura

Preparare la pasta sucrèe: amalgamare velocemente con la punta delle dita il burro,lo zucchero a velo ed il sale. Pian piano aggiungere la farina e lavorare il tutto finchè apparirà grumoso. Ora aggiungere le uova leggermene sbattute a parte, e lavorare molto velocemente finchè il tutto sta insieme.
Avvolgere in pellicola e mettere due ore in frigo. Ovviamente il procedimento può essere fatto in planetaria con gancio a K, ma è talmente rapida che forse non vale la pena sporcarla...
Importante: con queste dosi viene oltre mezzo Kg di pasta, per la torta ne servono circa 300 g.
Intanto che la pasta riposa, preparare il ripieno: grattugiare la scorza dei limoni, e poi spremerli. Battere con una frusta le 4 uova intere, il tuorlo e lo zucchero. Aggiungere poi il succo e la scorza di limone.
A parte montare leggermente la panna, che sia una crema morbida e non troppo secca, e aggiungerla al resto:




Mescolare con la spatola, e mettere la crema in frigo fino al momento di usarla.
Stendere ora la pasta sucrèe in uno spessore di 3 mm, e ricoprirvi la tortiera da 20 cm e con almeno 4 cm di bordo. Mettere in frigo mezz'ora, e 5 minuti in freezer.
Quindi bucherellarlo, coprirlo con carta forno o argentata e riempirlo con fagioli secchi. Mettere subito in forno a 180 gradi per 10 minuti, dopodichè tirarlo fuori, eliminare carta e fagioli, e spennellarlo con albume appena sbattuto, sul fondo e sui bordi.
Abbassare il forno a 170 e rimettere il guscio in forno per altri 5 minuti.
Tirarlo fuori, abbassare il forno a 150, e versarvi dentro la crema di limone ben fredda.
Rimettere in forno e cuocere per circa un'ora e dieci, finchè il tutto sarà ben compatto.
Mettere una notte in frigo.
Prima di servire, spolverizzare con zucchero a velo e caramellare con l'apposito cannello.
Ma è molto buona anche senza ;-)
Servire fresca.






NOTE:
- come ho scritto sopra, con queste dosi vengono circa 500 g di pasta sucree. Sconsiglio di farne meta' dose, o avrete una tortina risicata :-) per cui usate i 300 g per il guscio e congelate il resto, che sara' pronta per la prossima torta.

- potete caramellarla anche diverse ore prima di servirla.

lunedì 7 marzo 2011

Frittelle allo zabaione

Sono stata cresciuta con l'idea che con le buone maniere si ottiene tutto.
E delle buone maniere sono profonda e convinta sostenitrice perche' base del convivere civile, tanto convinta da continuare a perseguitare la mia collega un po' lunatica con un sonoro buongiorno! ogni mattina pur sapendo che le probabilita' che risponda sono le stesse che mi ritrovi in classe un marziano.
Certo, che poi si possano adattare alla personalita' di ciascuno e' indubbio.
Quindi il buongiorno senza risposta un paio di volte fu fatto seguire da un non tanto sussurrato uhm, credo che il mio giorno sara' buono ugualmente che sicuramente non rientra tra gli insegnamenti di mia madre.
E' quindi armata di tutte le buone maniere che possiedo che mi sono recata al supermercato per cambiare le mie farine infestate.
Al bancone del Customer Care non c'e' anima viva, ma arriva un commesso libero. Parla solo arabo, ed io che ho studiato gli dico nella sua lingua che nella farina comprata pochi giorni prima ci sono delle bestie, e vorrei mi fosse cambiata.
Lui mi guarda stralunato, non aggiunge una parola e se ne va. Chissa' che diavolo ho detto...
Dopo altri almeno cinque minuti di attesa, in cui credevo in buona fede che il commesso di cui sopra stesse arrivando con una carriola di farina, ne arriva un altro. Parla un po' di inglese, ma dice che fino a prova contraria gli insetti nella farina ce li ho messi io, e non lui, per cui me la tengo cosi' com'e'.
E' ora di chiamare il direttore, non vi pare, anche perche' le mie buone maniere sono state gia' messe a dura prova. Arriva quindi quel signore alto e compito che non vedo tanto spesso, ma che si e' premurato piu' di una volta di chiedermi se il servizio fosse simile agli standard a cui siamo abituati in Europa.
E' solo un attimo quello in cui mi viene in mente il colorito addetto del supermercato dove vado di solito a Roma, che si spertica in complimenti in romanesco con ogni donna che vede, e per i quali se vivesse in Arabia sarebbe come minimo arrestato, e non mi sembra un buon argomento.
Vede la farina, tutti e quattro i pacchi, e conviene come me che ho diritto al cambio immediato.
Anche lo sguardo soddisfatto con cui fulmino di sottecchi il commesso numero due non fa parte degli insegnamenti ricevuti in casa, ma mi tolgo la soddisfazione.
E' il direttore in persona quindi, che con molte cerimonie, arriva non con quattro, ma cinque pacchi della stessa farina italiana. Faccio un gran sorriso, e la mia faccia piu' innocente.
Posso chiedere un'ultima cortesia?
Al direttore non pare vero dire di si, per poi pentirsene appena gli esce dalla bocca.
Con la velocita' di un prestigiatore apro la mia borsa all'ultima moda, e tiro fuori un oggetto misterioso.
Posso setacciarne un po', per sicurezza?
Si, mi sono portata il setaccio, e pure un piatto di plastica. Neanche aspetto la risposta che gia' sono all'opera tra lo sgomento generale e il direttore che mormora qualcosa che sembra una preghiera ma sorride a mezza bocca.
La farina italiana rimane li' perche' evidentemente e' tutta in pessime condizioni.
Morale della favola?
Ora ho un buono per 25 kg di farina locale pulitissima, e milioni di ricette da provare al più presto per smaltirla.
 E of course l'ammirazione incondizionata del direttore del supermercato: potere di un setaccio ;-)

Per le frittelle di oggi va ringraziato per sempre Luca Montersino. Sua la ricetta dell'impasto, e sua la crema allo zabaione un po' anarchica del ripieno. E' talmente rapida che ci metterete piu' tempo a leggerla che a correre in cucina a farla: si sciolgono in bocca, una delizia unica. E non lesinate, fatene dose doppia o ve le litigherete a coltellate!
Un'ultima nota: avete dato un'occhiata al nuovo contest di Cleare? Vi sfida a preparare un piatto gustoso solo con gli ingredienti che vi indica lei. Dei premi bellissimi vi aspettano, e la sottoscritta nella giuria :-)


FRITTELLE ALLO ZABAIONE di Luca Montersino ( per una quindicina di pezzi)

per le frittelle

150 g di acqua
22,5 g di burro
15 g di zucchero semolato
158 g di farina
135 g di uova intere ( circa 3 meno qualcosa, ma pesatele, le mie sono piccole, e vanno pesate senza guscio)
2 pizzichi di ammoniaca per dolci ( un terzo di grammo, se volete pesarla)
7 g di rum
scorza grattugiata di limone e arancia
uvetta sultanina e scorzette di arancia candite (le ho omesse)
olio per friggere

per la crema allo zabaione

175 g di zucchero semolato
125 g di tuorli (circa 6, ma vanno pesate!)
32,5 grammi di farina
200 g di Marsala secco
50 g di vino moscato

Per prima cosa preparare la crema: in una casseruola montare i tuorli con lo zucchero e la farina.
In un pentolino a parte scaldate il Marsala e il moscato.
Appena ben caldi, versarli sul composto di tuorli montato.


Mettere sul fuoco sempre girando con una frusta a mano, e cuocere fino al bollore. Togliere dal fuoco e far raffreddare.


Mentre la crema raffredda preparare le frittelle: in una casseruola mettere l'acqua, il burro e lo zucchero. Portare a bollore ed aggiungere immediatamente 105 g di farina.


Mescolare prima con la frusta, sempre sul fuoco, e poi con un mestolo finche' il composto diventa sodo e si stacca dalle pareti (un po' come la pasta bigne') almeno tre o quattro minuti.
Togliere quindi dal fuoco ed aggiungere la scorza di arancia e limone, il rum, l'ammoniaca, l'uvetta e i canditi se li usate e le uova assolutamente ad una ad una e completate con la farina rimasta
L'impasto sara' inizialmente molliccio, bruttino, lavorate molto e fate sciogliere i grumi il piu' possibile, aiutandovi magari con delle fruste elettriche...ci vuole un po' di pazienza ;-)


Dopo la lavorazione, l'impasto sara' sempre molto morbido, ma liscio.


Ora mettere una casseruola a bordi alti con parecchio olio di semi a scaldare.
Per formare le frittelle avete due possibilita': o versate l'impasto in una sac a poche senza beccuccio e fate uscire pezzetti di composto che taglierete e farete cadere in padella, oppure formatele aiutandovi con due cucchiaini, come ho fatto io.
Friggetele finche' saranno gonfie e dorate, passatele subito nello zucchero semolato ed infine farcitele con la crema usando una siringa da pasticceria.
Servite tiepide, ma ottime anche fredde ;-)








giovedì 3 marzo 2011

Brazo de Mercedes ( rotolo di meringa e crema magica )


Si puo', dico, si puo' rimanere senza farina dentro casa?
Ma certo che no.
La farina si conserva benissimo, se ne puo' fare scorta, e se siete come me panificatrici folli dotate di blog di cucina sapete benissimo di cosa parlo.
E invece si.
Se vivete in Arabia, potreste aver comprato una partita di farina da far invidia a un fornaio ed essere tornate a casa tutte contente.
Eh si, mica si trova sempre la farina italiana, e questo giustifica l'occhiata del commesso al mio carrello: deve aver pensato che sto per aprire un panificio.
La metto in dispensa, gia' pregustando tutto quello che riusciro' a farci, e rimpiangere anche quello che non riusciro' a farci .
E' quindi col solito animo piuttosto allegro di quando sto per fare un dolce che apro il pacco, e setaccio come mio solito il quantitativo che me ne serve.
Orrore.
No, di piu'.
Terrore!
Mille minuscole bestie nere fanno capolino dal setaccio.
Il ribrezzo e' pressocche' indescrivibile, ma e' il sospetto che serpeggia che prevale: e corro ad aprire un secondo pacco: stesso identico, monotematico zoo.
Al terzo mi metterei a piangere, al quarto l'incavolatura e' tale da farmi fumare le orecchie.
D'altronde l'idea di farle passare per semini di vaniglia non mi sembra questo granchè, come pure quella di un eventuale arricchimento proteico alle mie preparazioni...
Che si fa? Facilissimo, si riportano al super, con una bella lamentela il direttore accettera' di cambiarmele.
Ah si? E come vado al super nell'unico Paese al mondo in cui le donne non possono guidare?
Di avere l'autista non c'e' verso, lavora per le signore che vivono nel mio centro residenziale ma solo in determinati orari, non certo ora che sono quasi le 6 del pomeriggio.
By the way, il primo che osa pensare alla eventuale comodita' dell'autista me lo mangio: dipendere da un antipatico signore sbuffante ogni volta che devo uscire mi fa limitare la cosa al massimo. Ed il mio profondermi in ringraziamenti poco serve a farlo respirare normalmente...
Potrei sempre chiedere a mio marito di accompagnarmi. Peccato che per l'orario in cui rientrera' sara' prayer time, ora della preghiera.
Qui non solo si prega cinque volte al giorno, ma durante le preghiere i negozi chiudono e ti buttano fuori, le luci si spengono, gli uffici smettono di riceverti, i ristoranti di servirti: si ferma il mondo.
Calcolando che ognuna dura circa mezz'ora, e che per evidentemente preparare meglio lo spirito ogni negozio chiude con prudente, prudentissimo anticipo, capirete che rischiamo di passarci la serata...
Meglio rassegnarsi, e cambiare programma: il dolce non sara' piu' quella torta al limone che da tempo puntavo ma un dolce che sara' almeno un anno che voglio riprovare.
Pochissimi ingredienti, e questi si in casa mia non mancano mai: uova e latte condensato, per un risultato strabiliante.
Che poi sia vero, che tutti i mali non vengano per nuocere? ;-)

Avete presente una nuvola? Arrotolata diventa questo dolce, ma quello che stupisce e' la crema, perche' mai sara' magica? Perche' si fa in pochi minuti, ed appena la cuocete ha un saporino niente male, ma appena aggiungete l'obbligatorio pezzetto di burro cambia, e prende un gusto indescrivibile! Assolutamente da usare anche per altro. E fidatevi, non e' troppo dolce, ma assolutamente perfetto specie se spolverizzato con del cacao amaro, o a vostra scelta anche amarissimo.
E sempre grazie a quella gentile e sorridente signora che mi ha spinto a cercarne la ricetta, sedute un anno fa a chiacchierare in un caffe' in quel di Bahrein...

BRAZO DE MERCEDES ( per un rotolo lungo circa 30 cm)

per il rotolo

4 albumi
140 g di zucchero semolato
due pizzichi di cremortartaro, o in alternativa 5 gocce di succo di limone

per la crema magica

120 g di latte condensato zuccherato
4 tuorli
20 g di burro (anche salato, se piace)
un pizzico di sale ( da omettere se usate il burro salato)
cacao, per il tocco finale

Preparare per prima la crema, dato che andra' versata sulla meringa appena uscira' dal forno.
Versare in un pentolino i tuorli ed iln latte condensato. Girare e mettere su fuoco bassissimo
Sempre mescolando con una frusta a mano cuocere finche' non si addensa.



Dopo circa 10-15 minuti, avra' l'aspetto di una morbida crema pasticcera. Togliere dal fuoco ed aggiugere il burro, mescolando bene. Lasciare da parte.


Passare quindi al rotolo di meringa: imburrare per bene un foglio di carta forno ed adagiarlo su una teglia.
Preriscaldare il forno a 190 gradi.
Montare i bianchi unendo subito il cremortartaro o il limone. Appena saranno gonfi aggiungere poco a poco lo zucchero, sempre montando con le fruste elettriche.
Quando la meringa sara' bianca, gonfia e spumosa spalmatela con una spatola sul foglio di carta forno imburrato. Il rettangolo della foto e' 30 x 19 cm.


Infornatelo subito nel forno preriscaldato, e cuocere finche'  i bordi saranno ben dorati e la superficie compatta, nel mio forno ci sono voluti circa 17 minuti ma dato che ogni forno e' un mondo a se' vi consiglio di sorvegliare a vista, almeno la prima volta, potrebbe volerci di piu' o di meno...
Appena e' cotta, tirare fuori dal forno e immediatamente versarvi la crema, facendola colare da un cucchiaio. Non spalmatela, o rischiate di rompere la meringa, si distribuira' da sola.
D'altronde, e' o non e' magica? ;-)


Subito procedere ad arrotolare, dal lato lungo. Non aspettate che freddi o si romperà.
Con delicatezza ed aiutandovi con la carta forno non sara' troppo complicato, a meno che non abbiate dimenticato di imburrarla (sbagliando si impara, no?)



Appena il dolce e' arrotolato metterlo in frigo per almeno un paio d'ore.
Al momento di servirlo pareggiare i bordi e spolverizzarlo con cacao amaro.
Servire freddo.

NOTE:

- la meringa per questo rotolo e' compatta ma morbida, insomma un sogno. Si presta a mille ripieni, anche di frutta, con delle fragole ad esempio, o a qualunque crema vi venga in mente.

- perche' un nome cosi' buffo? La ricetta, di orgine filippina, fa riferimento al gran lavoro di braccia per montare i bianchi, e non come qualcuno di mia conoscenza ha ipotizzato, al fatto che con molta fantasia possa sembrare il tubo di scappamento di una famosa automobile... Evidentemente la povera Mercedes non aveva le fruste elettriche!
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